L'EDUCAZIONE DEL PENSIERO SEMPLESSO: METTERE ORDINE NEL DISORDINE

 


L’EDUCAZIONE DEL PENSIERO SEMPLESSO: COME DARE ORDINE AL DISORDINE

Parole chiave: complessità, sistema, enazione, autopoiesi, competenza, categoria

L’immagine di apertura si richiama ad un racconto della tradizione Sufi.

Cosa vuole intendere, e cosa c’entra con il calcio?

Certo che c’entra.

Rappresenta la grande differenza che esiste tra coloro che si ostinano a continuare a perseguire la strada del riduzionismo (scomposizione della prestazione calcistica in tanti elementi ed allenati separatamente) e quelli invece che affrontano la logica del calcio nella sua complessità.

La quale a sua volta non può prescindere dall’approccio sistemico e dinamico.

Il gioco del calcio essendo uno sport collettivo, di invasione e di contrasto, è classificato quale sport di situazione.

In queste discipline si evidenzia una motricità a prevalente determinazione tattica, ovvero si decide, si sceglie e si esegue, spesso in corso d’azione, continuamente.

La prestazione, quindi, viene determinata, secondo la teoria dell’enazione, dalle capacità autopoietiche individuali e collettive emergenti anche da quelle situazioni non predefinite che devono essere fronteggiate con scelte decisionali, effettuate con la massima rapidità e precisione possibili.

E’ fuori dubbio che il risultato della decisione dipende dalla correttezza del gesto tecnico, a sua volta suffragato da una motricità adeguata.

Più la memoria del calciatore è ricca di vissuti specifici, tanto più sarà in grado di trovare ed effettuare soluzioni di gioco efficaci.

Le neuroscienze, specie con le evidenze degli ultimi venti anni, ci dicono che non c’è separazione tra processi percettivi, cognitivi e motori, che non esiste una gerarchizzazione sequenziale del tipo: prima osservo, poi comprendo e poi eseguo.

Si tratta, invece, di una rappresentazione circolare e reticolare, in quanto la mente del giocatore, partendo dalla decisione incoscia, ripete tali operazioni mentali in modo interattivo, passando senza soluzione di continuità dall’osservazione della situazione di gioco contingente al confronto di quanto ha conservato con le proprie esperienze tattiche in proposito fino alla modifica della decisione in corso d’opera e così via.

Dunque il saper agire tatticamente caratterizza la logica dei giochi sportivi collettivi ed il complesso degli sport di situazione.

Difatti, in tali attività, il comportamento di ciascun contendente, o meglio di ciascun giocatore, ha sempre un motivo tattico, poiché costituisce in ogni caso l’emergenza di una scelta, tra una serie più o meno vasta di opzioni che si presentano in quel determinato istante di gioco, integrando il sistema di memoria, specie di quella implicita, con quello elaborativo e predittivo.
Quest’ultima può realizzarsi soltanto attraverso un controllo cosciente che è
 necessariamente più lento e dispendioso ma che offre la possibilità di porre delle modifiche all’azione durante il suo stesso svolgimento in relazione alle variabili delle situazione e quindi a nuove ipotesi previsionali dei soggetti coinvolti nell’azione stessa.
Quindi le azioni tattiche rappresentano un agire interattivo e comportamentale
 dei contendenti, i quali mirano ad influenzarsi reciprocamente, con lo scopo di creare delle difficoltà all’avversario concedendogli un tempo d’azione il più possibile ridotto e restringendo il suo spazio di manovra.
Quanto più un giocatore riesce ad acquisire dei vantaggi temporali e spaziali
 rispetto all’avversario tanto più riesce a gestire efficacemente la situazione di gioco e ad avere l’iniziativa nei suoi confronti.
Questi concetti sono validi anche per i difensori che non vanno considerati
 come soggetti passivi in grado di adattarsi semplicemente alle situazioni determinate dagli attaccanti, ma come elementi attivi che provocano le azioni piuttosto che subirle.
Il metodo semplesso supera anche la vecchia contrapposizione tra tecnica e tattica: l’attività tattica

( decidere cosa fare ) e l’attività tecnica ( concretizzare la decisione ) devono essere considerate in modo interrelato. Non si possono risolvere problemi di natura tattica se non si possiedono le soluzioni tecniche adatte.

La M.O. considera le abilità tecniche parte integrante del progetto di gioco, infatti esse rappresentano la garanzia della realizzazione dei suoi principi tattici.

L’approccio della M.O. invece è basato su proposte di unità enattive emergenti l’interazione dinamica del processo percezione, decisione ed azione.

Esso si basa sul presupposto che il calciatore deve essere messo in grado di elaborare delle decisioni con autonomia, responsabilità, contestualità, e perché no, con imprevedibilità.

Difatti, l’ambiente variabile e difficilmente prevedibile nelle attività sportive aperte condiziona il gesto tecnico che deve essere costantemente modificato ed adattato per conformarsi alle richieste della situazione.

Sappiamo che le fonti di maggiore variabilità derivano dalla presenza ed azione dell’avversario, che con le sue iniziative, ad esempio manifestando false intenzioni, può condizionare l’andamento dell’azione: tutti i giocatori adottano comportamenti tattici, sia che si trovino in situazione di attacco che di difesa.

Purtroppo, nel processo di formazione calcistica l’allenamento tecnico tattico continua ad essere svolto per addestrare i calciatori a risposte ripetitive, convergenti e svuotate di qualsiasi  partecipazione emozionale.

L’approccio convenzionale, classico si è sempre sviluppato secondo un disegno lineare e settoriale 

(l’elefante) mirante alla trasmissione di conoscenze attraverso un modello di gioco preordinato proponendo programmi di allenamento e sistemi di gioco prevaricatori rispetto all’azione del calciatore.

Con la M.O. perde la sua centralità la seduta tradizionale per schemi rigidi a favore di quella autopoietica che promuove e persegue l’azione costruttiva e creativa del singolo e della squadra, intesa come fruizione e decostruzione di esperienze diverse.

Considerato che i principi di gioco non sono compartimenti stagni, ma relazionati tra di loro e che le fasi di gioco si susseguono in maniera dinamica ed interattiva e di tipo non-lineare, gli apprendimenti vengono sollecitati e consolidati attraverso reali e fedeli situazioni di gioco, riproposte ricorsivamente, in maniera tale da creare un ampio ventaglio di vissuti esperenziali pertinenti.
Quindi proposte situate con un approccio specifico, sistemico, attraverso la pedagogia dell’indagine e della sperimentazione attiva per educare il  calciatore a trovare risposte efficaci adattandosi e rispondendo adeguatamente al continuo variare delle situazioni particolari.
Nel gioco del calcio, caratterizzato altresì da un elevato grado di incertezza, con limiti temporali imposti dalle azioni degli avversari, assume particolare importanza anche la capacità dell’atleta di realizzare ipotesi previsionali.
La M.O. agendo sull’incremento graduale dei livelli di complessità, attraverso:
- Variazione del contesto operativo;
- Modifica del concatenamento delle situazioni;
- Introduzione di elementi di incertezza,
si propone di educare il calciatore ad affinare il pensiero semplesso.

In questo processo rilevante diviene la funzione dell’allenatore, il quale deve essere in grado di operare epistemologicamente sulle proprie competenze per facilitare il calciatore e la squadra a saper governare la logica del gioco.
Il suo lavoro è complesso e specifico e necessita di un aggiornamento continuo per approfondire e migliorare il suo intervento.

L’attenzione del tecnico deve essere sempre orientata verso due direttrici, integrate, correlate ed interdipendenti:

- il singolo, l’individuo, l’Unità Significativa con lo scopo di valorizzare al meglio le potenzialità del calciatore;

 - e la squadra, un sistema interattivo di singoli che pur presentando caratteristiche diverse ed eterogenee con lo scopo di creare un collettivo il più possibile organizzato, elastico ed equilibrato.

Deve necessariamente rivolgersi al singolo quando opera nei settori giovanili utilizzando la squadra; alla squadra invece quando si relaziona con gli adulti, ed il mezzo per ottenere questa è il singolo.

Nel primo caso persegue obiettivi nel lungo periodo; nella seconda circostanza l’attenzione è orientata sul breve e medio periodo.

L’intervento sul collettivo viene realizzato fornendo le regole di gioco, cioè i segnali di comunicazione nelle due fasi, nelle transizioni e nelle diverse situazioni di gioco, i giocatori devono parlare lo stesso linguaggio calcistico in cui tutti capiscano e ragionino allo stesso modo, possano leggere in maniera univoca le situazioni ed offrire la propria interpretazione, cioè i calciatori devono sempre sapere in ogni circostanza, anche in quelle impreviste, perché, quando, dove e come muoversi sia individualmente che collettivamente.

Quindi riepilogando se l’obiettivo dell’allenatore è questo, ciò non può non passare attraverso l’acquisizione dei costrutti di tempo e spazio ( di cui ci occuperemo in maniera dettagliata nel prossimo contributo), fra loro intrecciati e complementari, organizzando ambienti di apprendimenti situati dove emergeranno unità enattive fedeli alla logica ed alla realtà del gioco.

Il suo agire didattico deve sempre rendere consapevole il giocatore.

Se è vero che il calciatore è il protagonista durante il gioco, poiché è colui che decide cosa fare e come fare in ogni istante della gara sulla base delle sensazioni e  delle percezioni che ha della situazione, è molto importante che l’allenatore sedimenti un ventaglio di conoscenze ed abilità calcistiche il più possibile ampio e articolato per mettere nelle condizioni di scegliere efficacemente, nel minor tempo possibile, la soluzione più appropriata in rapporto anche alle sue capacità tecniche.

 UNA PROPOSTA DIDATTICA



 


 

            


 

 


 

         

 


 

 




 

 

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