ALLENARE A SAPER GESTIRE IL” QUI ED ORA” ATTRAVERSO L’ENATTIVISMO PEDAGOGICO DELLA METODOLOGIA OPERATIVA L’approccio tradizionale e l’approccio semplesso della M.O. basato sul gioco: fondamenti e differenze

     
                                        

L’articolo prende le mosse dallo studio della teoria dell’Enattivismo quale nuovo paradigma che, dagli anni ’90, si sta affermando nel panorama delle scienze cognitive di cui ne parlai in un capitolo della mia tesi finale di fine corso UEFAPRO del 2010.

In questi ultimi decenni si rileva una crescente consapevolezza nelle scienze cognitive della necessità di prendere in considerazione l’incarnazione della mente nel corpo e della collocazione del corpo nel mondo per meglio comprendere e spiegare il fenomeno della cognizione.

Il processo ha radici in alcune teorie filosofiche che sono comprese nell’alveo della fenomenologia come quella di Husserl (1900) e di Merleau Ponty (1945). Più recentemente, accanto all’Enattivismo, vari autori e prospettive si sono mossi o si stanno muovendo verso le direzioni indicate: gli studi di Maturana sull’autopoiesi (1976), il concetto di embodied mind di Lakoff and Johnson (1999), la prospettiva dell’embodied cognition (Kiverstein and Clark, 2009), le teorie dell’esternalismo di Manzotti (2006), la mente “out the head” di Noë (2009), la coscienza come “cross-section” dell'ambiente (Tonneau, 2004).

L’Enattivismo offre una serie di suggestioni molto significative che permettono di ipotizzare una nuova concezione del processo conoscitivo e del ruolo del soggetto in esso. In particolare, assumono una valenza primaria i concetti di azione, interazione, cospecificazione, emergenza. Soprattutto, l’idea di un continuum mente-corpo-mondo, che vede il soggetto immerso nel reale, definire il suo percorso e al contempo subirne i vincoli.

Rifiutando il dualismo mente-corpo, l’Enattivismo enfatizza l’inestricabile accoppiamento esistente tra i processi cognitivi, il corpo e l'ambiente

Per l’Enattivismo non esiste alcuna separazione: Il soggetto non è di fronte al mondo, ma è nel mondo, affermano Varela, Thompson e Rosch , grazie al possesso di un corpo con una determinata struttura biologica, neurologica, senso-motoria, con proprie abilità e capacità, un corpo che offre determinate possibilità di azione sulla realtà e che pone il soggetto in interazione con l’altro da sé .

Non esiste un mondo preesistente all’osservatore in quanto il mondo stesso è il frutto di una co-implicazione fra l’osservatore e l’ambiente. Quando il soggetto, inteso come unità di mente e corpo, e l'oggetto sono in relazione si attiva un circolo virtuoso in cui avviene uno scambio di informazioni e influenze reciproche, il quale conduce alla generazione di proprietà emergenti, appartenenti cioè all’unità in interazione e in quanto tali non riscontrabili nelle singole componenti. È, questo, un aspetto tipico dei fenomeni di auto-organizzazione

Punto di contatto di questo approccio è la teoria dei sistemi dinamici (Glazier et al., 2003), forse banalmente spiegabile con il battito di ali di una farfalla che provoca un uragano dall’altra parte del mondo, legata alla pedagogia non-lineare (Chow et al., 2006).

In ambito didattico, l’enattivismo propone una rilettura della relazione tra insegnamento e apprendimento, e suggerisce una visione della squadra come uno spazio noi-centrico in cui evolvono allenatore e calciatori. Essi si trasformano nell’interazione. Ugualmente la continuità cervello-corpo-artefatto-mondo propone un concetto diverso di conoscenza e del ruolo del corpo nella conoscenza.

In particolare, il pensare la didattica come “scienza complessa” ha imposto alla comunità scientifica una definizione del proprio oggetto di studio come luogo di sintesi dell’insegnamento e dell’apprendimento che, definitivamente interagiscono in una dimensione sistemica. La legittimazione di una didattica come scienza semplessa postula, pertanto, la necessità di circoscrivere all’agire il suo oggetto di studi e di affrontarne l’indagine partendo dalla caratteristiche evolutive, “incarnate” e “situate”, che giustificano il recupero delle proprietà e dei principi descritti da Alain Berthoz come caratteristici dell’agire didattico.

L’attenzione posta dai giochi della M.O. sull’agire si richiama alle caratteristiche evolutive delle specie che ne hanno consentito la sopravvivenza grazie alla capacità di anticipare e prevedere le conseguenze delle azioni e alla memoria delle conseguenze passate, indovinando e scommettendo sul comportamento altrui, attivando tutti quei processi cognitivi “nel corso dei quali tutto si gioca in qualche decina di millesimi di secondo” così come succede nel qui ed ora.

I giochi della Metodologia Operativa consentono di attivare tre principi semplessi:

-       1.L’anticipazione e la previsione;

-       2.La cooperazione;

-       3.La teoria del senso.

Purtroppo, assistiamo invece spesso sui campi di calcio, ed ancora più grave nei settori giovanili, all’utilizzo di una pedagogia direttiva, con un approccio riduzionistico ed una progressione lineare, con l’assenza totale o quasi di qualsiasi coinvolgimento affettivo.

Invece, l’apprendimento è innanzitutto emozionale: nel rapporto maestro-allievo e nella creazione del rapporto empatico dovuto all’azione dei neuroni specchio (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006) sia nel coinvolgimento dell’allievo nell’attività grazie all’azione del sistema limbico (Goleman et al., 2004).

L’approccio invece deve essere ecologico: sistemi interni ed esterni all’organismo interagiscono provocando una auto-organizzazione del movimento; in questo approccio, l’insegnamento stimola l’emergere di soluzioni spontanee, frutto della variabilità dei gesti eseguiti, che, individualmente, sono ottimali (Raiola et al.2014).

Quello che sovente un allenatore fa, invece, è ordinare un movimento e richiedere di rispettarlo nei minimi dettagli. Solo che non tutto va bene per tutti.

La tecnica ideale non esiste. Non siamo in grado di ripetere per due volte successive lo stesso movimento: può essere relativamente costante a livello macroscopico, ma è altamente variabile a livello microscopico (Bernstein, 1967). E soprattutto, se la tecnica ideale è quella dei migliori atleti al mondo, come può eseguirla anche un dodicenne che ha dei limiti di struttura fisica e pochi anni di allenamento, senza scomodare i geni?

IL PROCESSO OPERATIVO DEI GIOCHI SEMPLESSI DELLA M.O.

Cambio di paradigma: Multidimensionali, Contestualizzati

š  Incertezza è l’unica certezza

š  Mutevole, cangiante, flessibile

IN ALTERNATIVA A:

š  Schemi

š  Vincoli rigidi

š  Standard di comportamenti

š  Prevedibilità

Essi permettono la presa di decisione in un contesto sempre variabile. In un contesto di gioco, non alleniamo solo la componente motoria dell’elemento tecnico, ma anche quella percettiva e tattica.

La componente tattica è necessaria all’interno di qualsiasi gesto tecnico, altrimenti, ad esempio, non tireremmo da fuori area nell’angolo opposto o non faremmo differenza tra un passaggio in profondità ed uno in ampiezza.

Insegnando secondo l’approccio tradizionale, scomponiamo i movimenti, mentre con i Giochi della M.O. non agiamo solo sull’allievo, ma su tutto ciò che lo circonda: numero di giocatori, forme e dimensioni degli spazi, superamento di avversari.

Il gioco migliora la consapevolezza del calciatore e una buona consapevolezza del gioco è un ottimo modo per costruire una buona esecuzione delle abilità. Negli allenamenti di matrice riduzionistica accade il contrario: sviluppo tecnico prima e poi creazione di un senso tattico.

Il punto, credo, sia un modo errato di intendere la tattica: ci facciamo prendere dalla posizione dei difensori nella difesa della Spagna o dalle varianti dopo l’incrocio dell’esterno alto con il centrocampista di catena e ci dimentichiamo che c’è qualcosa più in basso, ma non meno importante: i principi di un’azione e non l’azione stessa e la nostra incapacità di aiutare i giocatori a riconoscere gli indizi che determinano la scelta di un movimento offensivo o difensivo.

                 

Concetti fondanti di questi giochi:

-       Intreccio tra tecnica e tattica

-       Relazione ricorsiva tra percezione, memoria e presa di decisione

-       Ritenzione, cioè come eseguo un compito qualche tempo dopo essermi esercitato su quel compito

-       Variabilità, la ritenzione aumenta se il compito è eseguito in modo variabile o misto con altre abilità.

IL GIOCO SEMPLESSO SITUATO: UN ESEMPIO DI DIDATTICA "NON LINEARE"

L'intervento intende approfondire un nuovo modello didattico.

Tale modello rappresenta il cuore dell’approccio specifico della Metodologia Operativa, per:

La presenza di più componenti costituite da un numero variabile di elementi che a loro volta possono essere semplici o presentare diversi gradi di complessità.

La presenza di interazioni tra le componenti non lineari che sono alla base del comportamento emergente e sono riconoscibili nei meccanismi di autoregolazione del sistema stesso.

La struttura “ologrammatica”, che rispecchia le caratteristiche del processo di insegnamento-apprendimento, in cui ciascuna componente esprime informazioni relative al sistema nel suo insieme e dove non è presente alcuna componente che da sola è in grado di governare il comportamento delle singole parti o del sistema stesso.

L’interazione adattiva con l’ambiente che è la mission della Metodologia Operativa.

Il gioco semplesso rappresenta una porzione del processo di allenamento, l'unità minima di cui consta l'agire didattico dell'allenatore in contesto.

La struttura di un gioco semplesso consta di tre elementi che vengono di seguito presentati in sequenza ma che vanno immaginati in relazione sistemica e ricorsiva tra loro:

-       un momento anticipatorio, che consta di una situazione-stimolo ;

-       un momento operatorio, che consta di una microattività di produzione con un problema da risolvere);

-       un momento ristrutturativo, che consiste nel debriefing riguardo a quanto accaduto/realizzato nei due momenti precedenti

Il gioco semplesso, inoltre ottimizza tutti e tre gli scenari di base dell'apprendere che la ricerca in questo campo ha dimostrato essere all'opera nell'apprendimento umano:

-       La ripetizione, come gli studi sulla memoria, l'attenzione, la motivazione, nella loro relazione sistemica hanno dimostrato (Kandel, 2010);

-       Il modellamento, che trova nella scoperta dei neuroni specchio e nelle loro funzionalità un valido supporto scientifico (Jacoboni, 2008);

-       L'esperienza, come la ricerca sul ruolo delle emozioni e sulla embodied cognition (Gibbs, 2006) hanno fatto vedere esemplarmente.

Ma è da ribadire come coerenti siano i debiti della didattica del gioco semplesso anche rispetto agli altri paradigmi di ricerca.

La didattica del gioco della M.O. fa funzionare tre dei principi della semplessità indicati da Berthoz (2011):

La creazione per inibizione, come si vede nel momento della produzione dell'attività che rappresenta la "pancia" del gioco. Qui chi apprende opera sostanzialmente per decisioni anticipatorie-tipico dell'apprendimento motorio (Sibilio, 2011) e dell'esperienza ludica (Gee, 2007)-non per applicazione di un apprendimento già insegnato ed esplicitamente appreso;

La rapidità, poiché il gioco semplesso vive nello spazio di una seduta formativa;

La selezione, perché evidentemente lavorare con il metodo del gioco chiede di sacrificare la completezza dell'informazione alla profondità e significatività della sua acquisizione (Novak, 2001; Ausubel, 2004), con la conseguenza di dover operare delle scelte dentro le quali collocare poche significative esperienze con un elevato valore modellizzante e una forte trasferibilità cognitiva.

RELAZIONI SISTEMICHE DEL PROCESSO DECISIONALE DEL CALCIATORE OPERATIVO

š  Qui ed ora

š  Là ed allora

š  Lì e poi

Con il gioco, che può essere 4vs4 eseguito in vari modi (vedi proposte inserite), permettiamo ai nostri allievi di percepire un ambiente, decidere un’azione ed eseguirla.

L’ambiente è così variabile ed imprevedibile che sollecita anche la capacità di livello superiore che è quella di modificare la nostra decisione mentre si sta eseguendo l’azione decisa.


Questa capacità di prendere decisioni possiamo allenarla in situazioni di 2vs1. E allora perché non sfruttare questa situazione per allenare anche il passaggio, il tiro, la posizione difensiva? E far ripiegare i due attaccanti per un 1vs2 o un 2vs2 facendo uscire il portiere dall’area? Il gioco è completo o quasi, poi sta all’allenatore scegliere gli aspetti ai quali prestare maggiore attenzione.

                 

Non è facile cambiare mentalità. È una lotta contro le proprie abitudini, con ciò che si è sempre visto fare.

                                     

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