LA SFIDA SELLA SEMPLESSITÀ, VERSO L’ALLENAMENTO CALCISTICO DEL TERZO MILLENNIO COME AFFRONTARE E GOVERNARE I PROBLEMI POSTI DALLA COMPLESSITÀ DELLA PRESTAZIONE CALCISTICA INDIVIDUALE E COLLETTIVA



LA SFIDA SELLA SEMPLESSITÀ, VERSO L’ALLENAMENTO CALCISTICO DEL TERZO MILLENNIO

COME AFFRONTARE E GOVERNARE I PROBLEMI POSTI DALLA COMPLESSITÀ DELLA PRESTAZIONE CALCISTICA INDIVIDUALE E COLLETTIVA

L’espressione «teoria della complessità» compare per la prima volta più di vent’anni fa, in un articolo pubblicato su Scientific American (1978), ma la nascita di un “pensiero della complessità” è avvenuta molto prima, alla fine degli anni Quaranta. Sono stati gli studiosi di cibernetica (Wiener, Weaver, Ashby, von Foerster) e di teoria dell’informazione (von Neumann, Shannon, Marcus, Simon) i primi ad occuparsi di complessità; ad essi si sono aggiunti, nel corso degli anni, pensatori provenienti da tutte le discipline.

Nel 1984, mentre nel Vecchio Mondo la nascita della nuova epistemologia veniva sancita da una serie di convegni internazionali (“La Science et la Pratique de la Complexité” a Montpellier, “La sfida della complessità” a Milano), nel Nuovo Mondo nasceva quello che sarebbe diventato immediatamente il più importante centro internazionale di studi sulla complessità, il Santa Fe Institute.

E’ evidente che la complessità, così come ogni teoria, acquista una dimensione prettamente storica: i modelli cambiano nel tempo e ciò che oggi è rappresentato come complesso può non esserlo domani, o viceversa. Ma come valutare la complessità di un modello?

Esistono alcune caratteristiche comuni a tutti i sistemi complessi:

1) Tante componenti più o meno complesse: in generale, più numerosi e complessi sono i (sotto)sistemi che lo compongono, più complesso è il sistema nel suo insieme; nei sistemi più complessi, i sottosistemi (cioè le componenti) sono a loro volta ad alta complessità

2) Interazioni tra le componenti: le componenti interagiscono passandosi informazioni; la quantità di connessioni e la presenza di sottostrutture ricorsive e di circuiti di retroazione (i cosiddetti “anelli”) aumentano la complessità del sistema, ma le informazioni che le componenti si scambiano non possono essere né troppo numerose (altrimenti il sistema diviene caotico), né troppo poche (il sistema si “cristallizza”);

3) Assenza di gerarchia “piramidale”: se vi è un’unica componente che, da sola, governa il comportamento del tutto, il sistema non può essere complesso.

Essi sono “ologrammatici”,in cui ciascuna componente possiede informazioni relative al sistema nel suo insieme (per esempio, ciascuna cellula contiene tutta l’informazione genetica dell’organismo di cui fa parte).

A queste proprietà si aggiunge la caratteristica che rende adattivi i sistemi complessi:

4) Interazione adattiva con l’ambiente: il sistema è tanto più complesso, quanto più numerosi sono i fattori che influiscono sul suo adattamento all’ambiente (dei quali deve tener conto il modello): mentre il sistema evolve, i suoi sottosistemi co-evolvono sviluppando strategie di co-adattamento (simbiosi, cooperazione, comunicazione, ecc.).

Durante l’evoluzione del sistema, si possono presentare tre situazioni, chiamate rispettivamente: a) ordine, b) caos, c) margine del caos.

Convinti che presto l’ipotesi verrà provata, alcuni teorici della complessità hanno deciso di dedicarsi al problema dello “sviluppo sostenibile”, cioè al problema dello “sviluppo al margine del caos”; si tratta indubbiamente di una delle implicazioni pratiche più importanti della teoria della complessità: individuare le condizioni che possono rendere compatibile lo sviluppo globale della società umana con il suo precario equilibrio al margine del caos (Speth, Gell-Mann).

Ora, secondo la teoria, che cosa succede quando un sistema complesso adattivo si trova al margine del caos?


Il sistema si auto-organizza.

Quando un sistema complesso adattivo si auto-organizza, avviene ciò che rende davvero sorprendenti tali sistemi: emergono fenomeni nuovi e imprevedibili, chiamati «fenomeni emergenti».

La SEMPLESSITÀ ha come obiettivo quello di mettere in condizione il soggetto di identificare in corso d’azione solo le relazioni determinanti per il comportamento del sistema nel qui ed ora. Come?

• Estrarre i concetti: si cerca di identificare o isolare il concetto operativo (parola chiave) che sta alla base di un sistema o processo.

• Creare moduli o unità più piccole: tali moduli sono più facilmente gestibili rispetto al sistema intero. Sono più facilmente intercambiabili e sostituibili, se si mantengono invariate le interfacce fra i moduli.

Semplesso significa proprio questo: tentare di trovare una via facilitata per realizzare lo stesso concetto.

Pur sapendo che in ambienti complessi è sempre più difficile conseguire i propri obiettivi autonomamente, siccome nel calcio si verificano in continuazione situazioni di 1vs1 occorre un approccio per “aggredire” in modo strutturato tutte le variabili del gioco, nel rispetto della interdipendenza reciproca.


Elementi come partecipazione, collaborazione, comunicazione hanno grande importanza nello sviluppo dei principi del gioco del calcio. Quando i diversi “gruppi organizzativi” presenti – siano essi una linea, una catena o una unità funzionale – esprimono una propria “intelligenza”, ben diversa e più complessa della semplice somma di quelle dei singoli individui, occorre elaborare una sistema di relazioni veloci ed intelligenti per giungere a decisioni ottimali.

La teoria della “complessità” racchiude anche, paradossalmente, un invito alla prassi della “semplicità”: occorre lanciare segnali capaci di attivare forze ed energie nella direzione giusta. La gestione della complessità non può ridursi alla sua negazione o essere un alibi per nascondere il disorientamento.

Serve una presa di coscienza che la strategia necessaria per portare la squadra ed il singolo nella dimensione più creativa e costruttiva, non è solo un insieme di linee d’azione in riferimento al progetto di gioco quanto la crescita del senso di responsabilità diffuso.


La sfida della complessità va affrontata col rafforzamento delle conoscenze, ma anche con strumenti nuovi: innovazione e creatività sono le direttrici da seguire. La gestione della complessità e la strategia della creatività, elementi fondamentali di una organizzazione capace di generare innovazione, utilizzate con competenza sono certo che trasformeranno il processo di allenamento calcistico in profondità, così come è stato l’allenamento strutturale rispetto a quello tradizionale.

Il concetto che propone Berhoz non è quello di rendere semplici scenari complessi, bensì quello di rendere decifrabile la complessità. La chiave di lettura è il processo di facilitazione derivante dall’applicazione di una serie di principi.

L’inibizione e il principio del rifiuto

Sta alla base della selezione e della scelta nella complessità di

un fenomeno in rapporto all’ambiente o ad una intenzionalità.

Il principio della selezione e della specializzazione

Scegliere le informazioni nel proprio contesto/ambiente pertinenti

con le finalità proposte. Selezionare le informazioni è rapportato

alla specializzazione ed alla visione del mondo che uno ha.

È anche conosciuto come principi della parsimonia.

Il principio dell’anticipazione probabilistica

Anticipare e prevedere cosa potrebbe succedere in base alla memoria.

Implica immaginare scenari futuri il che porta innovazione.

Il principio della deviazione

Quando non si conoscono a fondo i problemi ed i loro meccanismi,

come nel caso di problemi mal definiti, si utilizzano variabili complesse

per controllare il sistema.

Il principio della cooperazione e della ridondanza

Evita i rischi connessi al principio della selezione e della

specializzazione. Tale principio serve per combinare punti di

vista diversi al fine di prendere una decisione quanto più

possibile strumentale ed efficace nella risoluzione del problema.

 

Il principio del senso

Con tale principio si vuol affermare che bisogna dare alla

semplessità un significato, una funzione ed un’intenzione che

si manifesti nell’atto della scelta.

Sono tutte strategie del pensiero e del comportamento per mezzo dei quali gli esseri viventi, spesso in modo inconsapevole, riescono ad affrontare la complessità dei fenomeni naturali, cognitivi e di apprendimento.

Stando a quanto afferma Berthoz, gli strumenti mentali elaborati nel corso dell’evoluzione per risolvere i problemi legati all’agire e al muoversi nello spazio, giocano un ruolo fondamentale anche nell’espletamento delle funzioni cognitive più elevate, quali la memoria, il ragionamento, la relazione con l’altro e la creatività.

Anche nel campo dell’allenamento calcistico si impone, quindi, il ricorso alla semplessità ed ai principi che la regolano. Per molto tempo il calcio ha semplicemente ignorato la complessità, rimanendo ancorato al totem per eccellenza: il risultato.

Al contrario, la complessità è una componente importante, ed ingombrante, di cui bisogna avere consapevolezza per poterla combattere e gestirla efficacemente. Essa sta alla base della prestazione calcistica.

Questa, infatti, mobilita tutte le parti interconnesse tra di loro.

La semplessità va oltre: spingere i calciatori all’azione ed al dominio del contesto pieno, definito dall’interdipendenza tra mente, corpo ed ambiente.

Se non si riconosce la semplessità si finisce nel collocare l’apprendimento in uno stato di dipendenza rispetto ai compiti che la vita ci impone: essere riflessivi, capaci di scelte e autonomi nel contesto.

La semplessità non è lineare, ma è costituita da relazioni da interpretare e di questo bisogna tener conto nella pratica didattica di ogni esperienza di apprendimento.

Bisogna che l’allenatore educhi i calciatori a saper scegliere, attraverso proposte formative ricorsive e reticolari, tra tutte le informazioni disponibili, quelle pertinenti alla risoluzione del problema che si sta affrontando, tralasciando quelle inutili o addirittura fuorvianti (concetto figura/sfondo).

La scelta deve basarsi sull’esperienza acquisita (il passato), sul contesto in cui si sta operando (il presente) e su anticipazioni dettate dalla percezione (il futuro). Si basa sulla capacità di inibire, di selezionare, di collegare e di immaginare.

Si potrebbero ottenere risultati insperati trasformando il processo di insegnamento-apprendimento calcistico in un sistema semplesso.

Un tale sistema è caratterizzato dalle seguenti proprietà:

Separazione delle funzioni e modularità

In ogni sistema degli organismi viventi, dal molecolare al sociale,

c’è una separazione di funzioni specializzate che cooperano tra loro.

La rapidità

È la presa di decisione veloce, che presuppone l’anticipazione e

la previsione di quello che accadrà.

L’affidabilità

Serve ad evitare gli errori e per questo fa ricorso alla ridondanza ed

alla cooperazione tra inibizione ed eccitazione.

Flessibilità ed adattamento al cambiamento

Indispensabile per affrontare un problema anche nuovo, ricorrendo,

quando necessario, alla vicinanza per compensare funzioni che

sono venute meno.

La memoria

Ricordare l’esperienza passata per prevedere il futuro, utilizzando

le varie forme di memorie.

La generalizzazione

La capacità di avere l’idea generale di un’azione, che ne permetta

l’esecuzione in ogni circostanza esecutiva e motoria.

 

 

 

Sono tutte proprietà che vengono utilizzate nella prestazione calcistica più o meno da tutti.

Il problema è che non sempre se ne ha consapevolezza per cui non ne vengono sfruttate a pieno le potenzialità.

Da tale impostazione, non è esente  la  dimensione  decisionale  che  presenta proprietà  “semplesse”  impiegabili  per  la  selezione  delle  informazioni  sia  a livello cosciente che subcosciente.

Nello specifico è possibile rintracciare nell’atto:

a) Un livello cosciente che  precede  la  decisione  proiettando  le  proprie intenzioni;

b) Un livello subcosciente al quale possono seguire ulteriori prese di decisione subcoscienti, che durante l’atto possono cambiare forma  e/o  scopo dell’azione;

c) Decisioni derivanti da livelli  subcoscienti  che  nel  corso  del  proprio svolgimento  diventano  coscienti; in  questi  casi  dal  livello  cosciente possono  originarsi  sia  decisioni  che  rideterminano  l’azione, attraverso microregolazioni in azione (Rossi, 2011), che decisioni lasciano invariata la stessa azione;

d) Decisioni derivanti da livelli subcoscienti che solo a conclusione dell’azione in ragione degli effetti realizzati,  determinano  un livello di coscienza.

 

Semplessificare è una  necessità biologica per sopravvivere; gli esseri umani semplessificano, anche in funzione del proprio UMWELT, guidati dall’intenzione e da un fine per rendere decifrabile la complessità attraverso l’individuazione di soluzioni, appunto, semplesse.

 

“Il cervello deve trovare una  serie  di  soluzioni,  e  queste  soluzioni  derivano  da principi  semplificativi”. 

 

La decisione, quindi, è il  frutto  dell’adattamento  di regole semplici ed efficaci a dati complessi per trovare una soluzione che non è frutto di mera razionalità ma che, al contrario, implica deviazioni dalla logica ed una organizzazione di strategie originali e creative.

 A queste esigenze rispondono le sedute di gioco formativo della Metodologia Operativa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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