LA SFIDA SELLA SEMPLESSITÀ, VERSO L’ALLENAMENTO CALCISTICO DEL TERZO MILLENNIO COME AFFRONTARE E GOVERNARE I PROBLEMI POSTI DALLA COMPLESSITÀ DELLA PRESTAZIONE CALCISTICA INDIVIDUALE E COLLETTIVA
LA SFIDA SELLA SEMPLESSITÀ, VERSO
L’ALLENAMENTO CALCISTICO DEL TERZO MILLENNIO
COME AFFRONTARE E GOVERNARE I
PROBLEMI POSTI DALLA COMPLESSITÀ DELLA PRESTAZIONE CALCISTICA INDIVIDUALE E
COLLETTIVA
Nel 1984, mentre
nel Vecchio Mondo la nascita della nuova epistemologia veniva sancita da una
serie di convegni internazionali (“La Science et la Pratique de la Complexité”
a Montpellier, “La sfida della complessità” a Milano), nel Nuovo Mondo nasceva
quello che sarebbe diventato immediatamente il più importante centro
internazionale di studi sulla complessità, il Santa Fe Institute.
E’ evidente che la complessità, così come ogni teoria, acquista una
dimensione prettamente storica: i modelli cambiano nel tempo e ciò
che oggi è rappresentato come complesso può non esserlo domani, o viceversa. Ma
come valutare la complessità di un modello?
Esistono
alcune caratteristiche comuni a tutti i sistemi complessi:
1) Tante
componenti più o meno complesse: in generale, più numerosi e
complessi sono i (sotto)sistemi che lo compongono, più complesso è il sistema
nel suo insieme; nei sistemi più complessi, i sottosistemi (cioè le componenti)
sono a loro volta ad alta complessità
2) Interazioni
tra le componenti: le componenti interagiscono passandosi informazioni;
la quantità di connessioni e la presenza di sottostrutture ricorsive e di
circuiti di retroazione (i cosiddetti “anelli”) aumentano la complessità del
sistema, ma le informazioni che le componenti si scambiano non possono essere
né troppo numerose (altrimenti il sistema diviene caotico), né troppo poche (il
sistema si “cristallizza”);
3) Assenza
di gerarchia “piramidale”: se vi è un’unica componente che, da
sola, governa il comportamento del tutto, il sistema non può essere complesso.
Essi
sono “ologrammatici”,in cui ciascuna componente possiede informazioni relative
al sistema nel suo insieme (per esempio, ciascuna cellula contiene tutta
l’informazione genetica dell’organismo di cui fa parte).
A
queste proprietà si aggiunge la caratteristica che rende adattivi i
sistemi complessi:
4) Interazione
adattiva con l’ambiente: il sistema è tanto più complesso, quanto
più numerosi sono i fattori che influiscono sul suo adattamento all’ambiente (dei
quali deve tener conto il modello): mentre il sistema evolve, i suoi
sottosistemi co-evolvono sviluppando strategie di co-adattamento (simbiosi,
cooperazione, comunicazione, ecc.).
Durante
l’evoluzione del sistema, si possono presentare tre situazioni, chiamate
rispettivamente: a) ordine, b) caos, c) margine del caos.
Convinti che
presto l’ipotesi verrà provata, alcuni teorici della complessità hanno deciso
di dedicarsi al problema dello “sviluppo sostenibile”, cioè al problema dello
“sviluppo al margine del caos”; si tratta indubbiamente di una delle
implicazioni pratiche più importanti della teoria della complessità:
individuare le condizioni che possono rendere compatibile lo sviluppo globale
della società umana con il suo precario equilibrio al margine del caos (Speth,
Gell-Mann).
Ora, secondo la teoria, che cosa succede quando un sistema complesso adattivo si trova al margine del caos?
Quando un
sistema complesso adattivo si auto-organizza, avviene ciò che rende davvero
sorprendenti tali sistemi: emergono fenomeni nuovi
e imprevedibili, chiamati «fenomeni emergenti».
La SEMPLESSITÀ ha come obiettivo quello di mettere in condizione il
soggetto di identificare in corso d’azione solo le relazioni determinanti per
il comportamento del sistema nel qui ed ora. Come?
• Estrarre i concetti: si cerca
di identificare o isolare il concetto operativo (parola chiave) che sta alla
base di un sistema o processo.
• Creare moduli o unità più
piccole: tali moduli sono più facilmente gestibili rispetto al sistema intero.
Sono più facilmente intercambiabili e sostituibili, se si mantengono invariate
le interfacce fra i moduli.
Semplesso significa proprio
questo: tentare di trovare una via facilitata per realizzare lo stesso
concetto.
Pur sapendo che
in ambienti complessi è sempre più difficile conseguire i propri obiettivi
autonomamente, siccome nel calcio si verificano in continuazione situazioni di
1vs1 occorre un approccio per “aggredire” in modo strutturato tutte le
variabili del gioco, nel rispetto della interdipendenza reciproca.
Elementi come partecipazione, collaborazione, comunicazione hanno grande
importanza nello sviluppo dei principi del gioco del calcio. Quando i diversi
“gruppi organizzativi” presenti – siano essi una linea, una catena o una unità
funzionale – esprimono una propria “intelligenza”, ben diversa e più complessa
della semplice somma di quelle dei singoli individui, occorre elaborare una
sistema di relazioni veloci ed intelligenti per giungere a decisioni ottimali.
La teoria della
“complessità” racchiude anche, paradossalmente, un invito alla prassi della
“semplicità”: occorre lanciare segnali capaci di attivare forze ed energie
nella direzione giusta. La gestione della complessità non può ridursi alla sua
negazione o essere un alibi per nascondere il disorientamento.
Serve una presa
di coscienza che la strategia necessaria per portare la squadra ed il singolo
nella dimensione più creativa e costruttiva, non è solo un insieme di linee
d’azione in riferimento al progetto di gioco quanto la crescita del senso di
responsabilità diffuso.
La sfida della complessità va affrontata col rafforzamento delle conoscenze, ma
anche con strumenti nuovi: innovazione e creatività sono le direttrici da
seguire. La gestione della complessità e la strategia della creatività,
elementi fondamentali di una organizzazione capace di generare innovazione, utilizzate
con competenza sono certo che trasformeranno il processo di allenamento
calcistico in profondità, così come è stato l’allenamento strutturale rispetto
a quello tradizionale.
Il concetto che
propone Berhoz non è quello di rendere semplici scenari complessi, bensì quello
di rendere decifrabile la complessità. La chiave di lettura è il processo di
facilitazione derivante dall’applicazione di una serie di principi.
L’inibizione e il principio del rifiuto |
Sta alla base della
selezione e della scelta nella complessità di un fenomeno in rapporto
all’ambiente o ad una intenzionalità. |
Il principio della selezione e della specializzazione |
Scegliere le
informazioni nel proprio contesto/ambiente pertinenti con le finalità
proposte. Selezionare le informazioni è rapportato alla specializzazione
ed alla visione del mondo che uno ha. È anche conosciuto come
principi della parsimonia. |
Il principio dell’anticipazione
probabilistica |
Anticipare e prevedere
cosa potrebbe succedere in base alla memoria. Implica immaginare
scenari futuri il che porta innovazione. |
Il principio della deviazione |
Quando non si conoscono
a fondo i problemi ed i loro meccanismi, come nel caso di
problemi mal definiti, si utilizzano variabili complesse per controllare il
sistema. |
Il principio della cooperazione e della ridondanza |
Evita i rischi connessi
al principio della selezione e della specializzazione. Tale
principio serve per combinare punti di vista diversi al fine
di prendere una decisione quanto più possibile strumentale
ed efficace nella risoluzione del problema. |
Il principio del senso |
Con tale principio si
vuol affermare che bisogna dare alla semplessità un
significato, una funzione ed un’intenzione che si manifesti nell’atto
della scelta. |
Sono tutte strategie del pensiero e del comportamento per
mezzo dei quali gli esseri viventi, spesso in modo inconsapevole, riescono ad
affrontare la complessità dei fenomeni naturali, cognitivi e di apprendimento.
Stando a quanto afferma Berthoz, gli strumenti mentali
elaborati nel corso dell’evoluzione per risolvere i problemi legati all’agire e
al muoversi nello spazio, giocano un ruolo fondamentale anche nell’espletamento
delle funzioni cognitive più elevate, quali la memoria, il ragionamento, la
relazione con l’altro e la creatività.
Anche nel campo dell’allenamento calcistico si impone,
quindi, il ricorso alla semplessità ed ai principi che la regolano. Per molto
tempo il calcio ha semplicemente ignorato la complessità, rimanendo ancorato al
totem per eccellenza: il risultato.
Al contrario, la complessità è una componente importante,
ed ingombrante, di cui bisogna avere consapevolezza per poterla combattere e
gestirla efficacemente. Essa sta alla base della prestazione calcistica.
Questa, infatti, mobilita tutte le parti interconnesse
tra di loro.
La semplessità va oltre: spingere i calciatori all’azione
ed al dominio del contesto pieno, definito dall’interdipendenza tra mente,
corpo ed ambiente.
Se non si riconosce la semplessità si finisce nel
collocare l’apprendimento in uno stato di dipendenza rispetto ai compiti che la
vita ci impone: essere riflessivi, capaci di scelte e autonomi nel contesto.
La semplessità non è lineare, ma è costituita da
relazioni da interpretare e di questo bisogna tener conto nella pratica
didattica di ogni esperienza di apprendimento.
Bisogna che l’allenatore educhi i calciatori a saper
scegliere, attraverso proposte formative ricorsive e reticolari, tra tutte le
informazioni disponibili, quelle pertinenti alla risoluzione del problema che
si sta affrontando, tralasciando quelle inutili o addirittura fuorvianti (concetto
figura/sfondo).
La scelta deve basarsi sull’esperienza acquisita (il
passato), sul contesto in cui si sta operando (il presente) e su anticipazioni
dettate dalla percezione (il futuro). Si basa sulla capacità di inibire, di
selezionare, di collegare e di immaginare.
Si potrebbero ottenere risultati insperati trasformando
il processo di insegnamento-apprendimento calcistico in un sistema semplesso.
Un tale sistema è caratterizzato dalle seguenti
proprietà:
Separazione delle funzioni e modularità |
In ogni sistema degli
organismi viventi, dal molecolare al sociale, c’è una separazione di
funzioni specializzate che cooperano tra loro. |
La rapidità |
È la presa di decisione
veloce, che presuppone l’anticipazione e la previsione di quello
che accadrà. |
L’affidabilità |
Serve ad evitare gli
errori e per questo fa ricorso alla ridondanza ed alla cooperazione tra
inibizione ed eccitazione. |
Flessibilità ed adattamento al cambiamento |
Indispensabile per
affrontare un problema anche nuovo, ricorrendo, quando necessario, alla
vicinanza per compensare funzioni che sono venute meno. |
La memoria |
Ricordare l’esperienza
passata per prevedere il futuro, utilizzando le varie forme di
memorie. |
La generalizzazione |
La capacità di avere
l’idea generale di un’azione, che ne permetta l’esecuzione in ogni
circostanza esecutiva e motoria. |
Sono
tutte proprietà che vengono utilizzate nella prestazione calcistica più o meno
da tutti.
Il
problema è che non sempre se ne ha consapevolezza per cui non ne vengono
sfruttate a pieno le potenzialità.
Da tale
impostazione, non è esente la dimensione
decisionale che presenta proprietà “semplesse” impiegabili per la selezione delle
informazioni sia a livello cosciente che subcosciente.
Nello
specifico è possibile rintracciare nell’atto:
a) Un
livello cosciente che precede la decisione
proiettando le proprie
intenzioni;
b)
Un livello subcosciente al quale possono seguire ulteriori prese di decisione subcoscienti,
che durante l’atto possono cambiare forma e/o scopo
dell’azione;
c) Decisioni
derivanti da livelli subcoscienti che nel
corso del proprio
svolgimento diventano coscienti; in questi casi
dal livello cosciente possono originarsi sia decisioni
che rideterminano l’azione, attraverso microregolazioni in
azione (Rossi, 2011), che decisioni lasciano invariata la stessa azione;
d)
Decisioni derivanti da livelli subcoscienti che solo a conclusione dell’azione in
ragione degli effetti realizzati, determinano
un livello di coscienza.
Semplessificare
è una necessità biologica per
sopravvivere; gli esseri umani semplessificano, anche in funzione del proprio UMWELT, guidati dall’intenzione e da un
fine per rendere decifrabile la complessità attraverso l’individuazione di
soluzioni, appunto, semplesse.
“Il
cervello deve trovare una serie di
soluzioni, e queste
soluzioni derivano da principi
semplificativi”.
La decisione,
quindi, è il frutto dell’adattamento di regole semplici ed efficaci a dati
complessi per trovare una soluzione che non è frutto di mera razionalità ma
che, al contrario, implica deviazioni dalla logica ed una organizzazione di strategie
originali e creative.
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